Tra il dire e il fare.

Tra il dire e il fare, che c’è di mezzo?
Il parlare, abisso che separa il dire e il fare, ovvero quello che – se manca – crea il problema o i problemi.

Esempi.
Mi trovavo in Cina, dovevo comprare il biglietto del treno che da Shenzhen mi avrebbe portato a Guangzhou. Primo tentativo è, ovviamente, quello online: sito, cerca sulla destra in alto il magico e fantastico loghetto con la bandiera del Regno Unito, clicca e uh, respiro di sollievo. Vai, inserisci nel motore di ricerca a sinistra partenza destinazione orario data, bidibi badaban, PROSEGUI E PAGA: e invece no, niente, sono l’unico sito cinese che accetta solo Pay Pal e la tua carta aziendale non ce l’ha. E il sito sembra dirti STACCE.
Quello stacce ti porta, allora, a sviluppare un certo senso di competizione e allora pensi che segnerai il codice del treno e l’orario su un foglio con il quale, impavida e spavalda, ti dirigerai alla stazione di partenza, con l’anticipo delle 24 ore prima, e comprerai il biglietto.

Niente di più semplice, scodinzolo allegramente per il corridoio e vado verso l’ascensore che dal piano 22 mi porterà al piano -1, cioè direttamente dentro la stazione: che lo si dice a fare, c’è chi può e chi non può. Ma anche no, o meglio, io non può e non ho potuto. Si apre l’ascensore al -1, con le mie orecchie ancora tappate che nemmeno dopo un atterraggio stile Ryanair (cui segue applauso, ndr), e vedo il nulla. Pavimento da clinica geriatrica sfondo grigio e puntini dal nero al rosso sangue sbiadito, pareti grigie e telecamere. Ma va bene, bidibi badaban arrivo a un punto popolato dal quale, seguendo l’icona del treno, riesco ad approdare a un banchetto con vetro e foro microfonato che ha tutta l’aria di sembrare un punto di acquisti o di informazioni. Quella prima di me, estraendo un porta qualcosa super colorato e con funghetti che sorridono disegnati, lo apre e ritraendo la mano dalle fessure dello sportello vetrato vi inserisce il biglietto.
Ok, è qui che comprerò il mio biglietto.
Provo con un Hello, ma sidhfisduhfisduhfisuhfisduhfishfiusdhfd è quel che mi si risponde; non parla inglese. Ma fa nulla, perché io ho scritto codice e orario quindi le allungo il post it e idhishdfisuhdifuhsf isudhfisudhih uh fhf s v e f g.
NADA.

E’ inutile: se non parli, non ce la puoi fare.

Ma quanti sogni si sono infranti perché nessuno ha parlato e ha preferito agognare e sognare il fare sulla base del suo dire, che poi, era solo vedere.
Mi spiego.
Tu, giuovine aitante che ancora crede nelle ore 22 del sabato sera, quando non sei con i tuoi amici a mangiare, ma sei a casa, a laccare il capello perché è quella laccata delle ore 22, unitamente alla barba fatta poco prima o dopo, e a quel litrozzo di CKOne che ti darà il potere. Il potere di attrarre, di rimorchiare a partire dalle 00.00, in cui sei pronto, in tutta la tua lucidità, a uscire.
Ecco, tu giuovine lucido e lucidato, tu che sei convinto che nessuna possa resisterti, vedi una che sembra muoversi per spostamento dell’alcool da un estremo all’altro, come in una bella e sinuosa bottiglia di San Pellegrino, bella avvitata. Cosa pensi? Che, beh, non ti potrebbe resistere comunque, che quindi ce la farai e che non solo ce la farai in quell’esatto istante successivo a quando le posizioni la mano sul fianco e #maciao, ma anche dopo, al di fuori del locale, quando le scriverai e uscirete e poi #fuochiefiamme perchè se è ubriaca allora è anche disponibile.
Parla, giuovine lucido e laccato, parlale; perché, davvero, potrebbe non essere così, perché proprio che tu che vedi negli altri il tuo oggetto, potresti diventare l’altrui oggetto. Perchè non parli.

Questo non è un manifesto della parola, ma solo una parentesi divertente che contribuisce a rafforzare le mie convinzioni sull’aver fatto un’ottima cosa quando per la maturità scelsi di fare la tesi(na) sulla Parola.

Perché è importante.

Perché anche io a volte ne ho fatto meno.

Perché ogni volta che ne ho fatto a meno me ne sono pentita e non me ne è importato più niente.

Perché io non ci posso fare niente e sono fatta cosi: Paola parla. Toglietemi la O datemi la R, e fate quel che volete.dsc00306

(Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma)

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