Aspettando tempi migliori.

E’ che di tempo pensiamo di averne troppo, e così lo dissipiamo; quando il tempo ci sembra morto, non è una tragedia bensì LA tragedia.

Io credo che la vera tragedia sia non tanto il perdere tempo, né il non sapere come riempire il tempo, nemmeno il trascorrerlo nel modo sbagliato – perché poi, in fin dei conti, non esiste un ché di giusto o di sbagliato – quanto piuttosto il perdere l’attimo. Non una tragedia in sé, ma la nostra tragedia: capro espiatorio di innumerevoli errori, spiegazione razionale di molte sventure e banale arresa alla caducità del tempo. Bah, come se il tempo fosse nostro, poi.

In una soleggiata domenica di agosto – quando volevo impiegare il tempo o forse perderlo in maniera costruttiva – ho visto queste due teste lignee, effigi di sguardi contrapposti: c’è stato un contrattempo, per via (non a causa) del quale un istante (ci) è (s)fuggito: quell’istante in cui i due sguardi si sarebbero potuti incrociare e invece hanno svoltato, si sono voltati, prima. O forse in quell’istante si sono incrociati ma qualcosa si è frapposto.

E non è andata come si voleva.

Non è andata come poteva andare.

E’ andata come doveva andare. E non ci sia colpa, rimorso, tragedia, rimpianto, perché ciascuno è padrone di se stesso ma non del tempo, che è di tutti. Per questo deve fuggire e non può appartenere ad alcuno: chissà che uso ne farebbe.

Tale è la sua vendetta: farsi piccolo e fuggire.

C’è chi l’ha chiamato attimo fuggente. Io preferisco contrattempo, contro (il) tempo.

 

DSC00318Daniela De Lorenzo, “Contrattempi”, 2014 – Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

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